“Abbiamo espresso un giudizio positivo sull’impostazione generale del nuovo Codice dei Contratti, sulla sua struttura giuridico normativa e sui principi fondamentali che lo regolano. Esistono però vistose contraddizioni tra i Principi ed il corpo normativo del Codice. Il principio del “Risultato”, ad esempio, mal si concilia con il ricorso generalizzato all’appalto integrato che non è giustificabile nonostante il Pnrr richieda tempi rapidissimi di esecuzione. L’esperienza ci dice che il ricorso a questa procedura non ha prodotto grandi performance. Ha generato, al contrario, contenziosi ed ha, molto spesso, lasciato sul campo opere incompiute. L’appalto integrato non va demonizzato e può essere utilizzato laddove siamo in presenza di opere complesse in cui è preminente il ricorso a particolari tecnologie ed in cui prevale la ricerca di soluzioni tecnologiche ed innovative, ma il ricorso all’appalto integrato non è certamente adatto per quelle opere dove l’architettura e la sua qualità sono predominanti ed in cui bisogna tenere in considerazione, sia gli aspetti storico-ambientali, sia quelli paesaggistici”.
Così il Presidente del CNAPPC, Francesco Miceli, intervenendo al Convegno “La Riforma dei Contratti Pubblici”, organizzato dalla Camera Valdostana per approfondire le novità più significative e gli aspetti più problematici del nuovo Codice degli Appalti.
“Altro aspetto di criticità è dato dalle modalità del concorso di progettazione a due fasi, che il nuovo Codice ridimensiona ingiustificatamente non affrontando il nodo cruciale della centralità e qualità del progetto e rinunciando ad affermare il principio del “Risultato” e quello della “Concorrenza” che lo stesso Codice indica nel suo Titolo I. Con la conseguenza di ridurre drasticamente e rovinosamente il ricorso a questa procedura da parte delle stazioni appaltanti le quali, in un clima di incertezze e di significativo rallentamento della loro attività, hanno rinunciato alla selezione della qualità come aspetto centrale nell’affidamento dei sevizi di architettura. Ciò rimanda alla discrezionalità del RUP a cui viene affidato il compito di determinare le scelte utili ad affermare i principi, che hanno fondamento normativo, e che il Codice indica come riferimento primario. L’aspetto, quindi, con cui dovremo fare i conti è dato dalla primaria contraddizione che i contenuti innovativi del Codice non potranno essere attuati pienamente da questa Pubblica Amministrazione che è caratterizzata da deficit strutturali storici che le impediscono di svolgere i nuovi compiti che il Codice gli assegna.
Sull’attualissimo tema dei rapporti tra Codice dei Contratti e Legge sull’Equo compenso il Presidente Miceli è tornato a sottolineare la contraddizione tra l’applicazione di quest’ultima ed il contenuto del Codice che conferma il criterio del minor prezzo e dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento dei servizi in genere e, quindi, dei servizi di architettura e di ingegneria.
“La nostra proposta – ha sottolineato – è che l’Equo compenso va applicato in quanto legge dello Stato e il modo per rendere efficace il suo contenuto è quello di operare il ribasso, cioè l’offerta economica, alla voce relativa alle spese forfettarie previste per l’esecuzione del servizio. Ciò consentirebbe la piena corrispondenza tra i contenuti del Codice ed il principio dell’equo compenso. Una proposta, questa, in linea con alcune delle ipotesi avanzate dall’ANAC. E’ questo un nodo politico che va assolutamente ed urgentemente affrontato e risolto. Ci auguriamo, infine, che si possa arrivare al più presto ad interventi correttivi per quelle parti del Codice che presentano elementi oggettivi di criticità”.